Il Mulino “du Parrinu” si trova nel punto in cui il torrente Agnello attraversa la piazza di Scillato. Sono ancora visibili i ruderi del fabbricato e parte della canalizzazione sulla quale, in epoca recente, sono state costruite delle abitazioni e una cabina dell’Enel. Annesso al mulino c’era un corpo di fabbrica in cui si effettuava la produzione di olio e vino: se il mulino cessò la sua attività a inizio XX secolo, il frantoio e il palmento rimasero in funzione fino agli anni ’60. Ad oggi sono visibili soltanto la mola in pietra e il “frascino”, la macina fissa. Una scaletta adiacente conduce al “casso” sottostante, ovvero un vano con volta a botte, dove era collocata la ruota movimentata dall’acqua.

L'acquedotto di Scillato fu un'opera di ingegneria idraulica costruita alla fine dell'Ottocento per far fronte alle nuove esigenze di risanamento igienico della città di Palermo.

La carente rete di distribuzione, insieme alle acque stagnanti, furono certamente responsabili nella diffusione della epidemia di colera che imperversava in quel periodo in tutta Europa e anche sull'isola.

Bandito il concorso, i lavori furono affidati ad una società piemontese che riuscì finalmente a portare le copiose acque di Scillato dalla Madonie fino alla Conca d'Oro.

Scillato è una zona ricchissima di acqua, che affiora in corrispondenza del contatto tettonico delle rocce permeabili con i sedimenti impermeabili. La sorgente Golfone, parte del gruppo sorgentizio che comprende le sorgenti Calabria ed Agnello, si presenta in forma ingrottata: è un affioramento di calcari le cui acque, provenienti da circolazione interna alle rocce, contengono elevate quantità di ioni di carbonato di calcio, derivante dalla dissoluzione chimica delle rocce entro cui hanno percolato. Durante la fase di sedimentazione delle concrezioni è possibile assistere all’inglobamento nella massa litica di elementi vegetali come steli, foglie, alghe o frammenti lignei, ma anche di animali, come le conchiglie.

Le “gebbie” erano grandi vasche destinate allo stoccaggio dell’acqua, particolarmente utili nei momenti di siccità. I filari di aranci venivano irrigati grazie a piccoli canali in arenaria, con le paratie servivano a distribuire l'acqua nella conca dell’albero, che veniva poi chiusa con la terra. Oggigiorno è possibile vedere diversi serbatoi attorno all’abitato di Scillato: sono di capacità variabile, in funzione all’estensione della terra da irrigare, hanno una forma prevalentemente parallelepipeda, e sono dotati al centro di elementi in muratura, al fine di spezzare il moto ondoso e ridurre la spinta statica dell’acqua. Oggi questo sistema è sostituito da impianti a pioggia. 

ma il problema dell'acqua resta e la turnazione continua ad essere un metodo utile per razionare la quota d’acqua prevista a scopi irrigui.

Il Mulino Paratore era l’unico opificio del sistema che sfruttava i canali Agnello e Gulfone a essere adibito alla “follatura” ovvero finissaggio dei tessuti di lana, e alla lavorazione della “zabbara”, l’agave, per la produzione di corde. Il canale che alimentava le due macchine idrauliche mantiene ancora la caratteristica biforcazione ad Y. L’edificio si presenta fortemente rimaneggiato negli anni, alcuni locali sono stati adibiti a deposito auto mentre altri sono inutilizzati. Risultano completamente scomparsi i “cassi”, gli ambienti voltati che ospitavano la ruota ad azionamento idraulico, interrati da un intervento di rialzo della piazza antistante. Acquisito negli anni 2000 dall’Ente Parco delle Madonie, è stato trasformato nel Centro di Educazione Permanente e Museo dell’Acqua, dove un percorso didattico racconta il tema della risorsa acqua e il suo ciclo, attraverso pannelli esplicativi e un plastico che illustra il funzionamento di una sorgente carsica.

Il Mulino Raso è stato l’ultimo mulino a cessare l’attività molitoria, a metà degli anni ‘60, in seguito alla sostituzione dell’energia idraulica con quella elettrica. L’edificio, che prende il nome dell’ultimo proprietario, è stato parzialmente trasformato al suo interno e oggi è utilizzato come deposito. Sono in discrete condizioni sia l’opera di canalizzazione con la relativa botte, e il vano voltato. Qui c’erano la “chianca”, o ralla, e la ruota in ferro, oggi purtroppo scomparse, così come la mola e il frascino, spostati nel piazzale antistante.

Situato ai limiti di un rimboschimento misto di eucalipti e pini, incontriamo lo stabilimento termale di Sclafani Bagni. In seguito a un evento franoso che distrusse due impianti più a monte, lo stabilimento venne ricostruito nella posizione in cui si trova oggi. Dalle ricche sorgenti sulfuree posizionate alle pendici del monte, le acque venivano convogliate in un’ala dell’edificio tramite un sistema di canalizzazione che alimentava le vasche destinate alla cure termali. Se nell’Ottocento lo stabilimento era molto frequentato, oggi il termalismo in Sicilia rimane un fenomeno parzialmente esplorato e poco tutelato.

Settima tappa - Stabilimento termale di Sclafani Bagni

Scaturigini sulfuree si trovano ai confini più occidentali del Parco delle Madonie. Queste si manifestano ai piedi del Monte Campanaro, le cui strutture geologiche profonde sono caratterizzate da circolazione idrotermale. Vista la temperatura raggiunta da queste acque (intorno ai 35°) le sorgenti di Sclafani Bagni si possono classificare come ipotermali. Le proprietà curative per patologie di natura ossea e cutanea, sono storicamente riconosciute.

Unico dei 4 mulini sopravvissuto ad una frana, abbiamo poche informazioni storiche sul Mulino Bagni. Sappiamo che qui si lavorava il lino.

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